Le prime indagini sulla strage di Maiano Lavacchio furono promosse dal CPLN, che raccolse testimonianze e documentazione utile fin da subito dopo la Liberazione della provincia.
Nell'Archivio del CPLN è conservata tutta la documentazione raccolta. Fin dall'inizio i familiari delle vittime espressero il legittimo desiderio che fosse fatta piena luce e giustizia sulla strage. Non sempre le loro denunce furono ascoltate e le aspettative rispetto all'identificazione di tutti i complici rimasero in parte deluse. Tra i sospettati, i familiari delle vittime insistettero molto su un appuntato dei carabinieri, che viveva a Istia. Furono segnalati gravi episodi di intimidazione e minacce per costringere i giovani all'arruolamento. Ancor più grave l’accusa di aver collaborato alla preparazione dell’eccidio, basata su testimonianze di persone che lo avrebbero sentito parlare della cattura di giovani di Monte Bottigli prima del 22 marzo. Altri sospetti caddero su abitanti della zona, che avrebbero compiuto sopralluoghi nelle abitazioni dei Guidoni e dei Matteini per accertare la presenza o meno dei ragazzi, e su una coppia di Grosseto, impiegata fascista lei, agente dell'OVRA lui, che si era rifugiata al nord dopo la Liberazione di Grosseto: a loro carico ci furono effettivamente procedimenti giudiziari e condanne, ma nulla risultò in relazione ai fatti di Maiano Lavacchio. |
Foto 1-3: immagini del "Processone" con gli imputati in cella e la cittadinanza in attesa fuori dal Tribunale. Credits: Archivio fotografico F-lli Gori, in http://archivioglobale.chelliana.it/
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Nel giugno 1946 la Sezione Speciale di Corte d’Assise chiuse la fase istruttoria e dette il via al cosiddetto “processone”, Gli imputati erano 87, di cui 48 detenuti, e 21 latitanti: in realtà furono giudicati effettivamente 59; 18 nel frattempo erano deceduti, gli altri non più perseguibili per i benefici dell’amnistia. Non si era potuto processare, ad esempio, il federale di Grosseto Silio Monti, colui che presiedeva la "corte" illegittima che aveva pronunciato la sentenza di morte per i ragazzi, perché era deceduto il 28 maggio 1944 (vittima di un mitragliamento aereo, secondo una nota di Alceo Ercolani, o di un attacco dei partigiani senesi a Iesa, secondo altre fonti).
234 i testimoni dell’accusa, 200 quelli della difesa. Tutti i parenti delle vittime si erano costituiti parte civile; a difenderli tre avvocati di diverso orientamento politico - Eliseo Magrassi, Pietro Martinelli, Pasquale De Leone -, tutti antifascisti e in seguito appartenenti a Solidarietà democratica. |
Con la sentenza del 18 dicembre 1946 la Sezione speciale della Corte d’Assise di Grosseto condannò Maestrini, Pucini, De Anna, Ciabatti, Scalone, Del Canto, Raciti e Gori alla pena di morte mediante fucilazione; Ercolani e Scotti alla pena complessiva di anni 30 di reclusione (di cui 10 condonati condizionalmente); Lorenzini Pompilio alla pena complessiva di anni 26 di reclusione (di cui 8 anni e 8 mesi condonati condizionalmente); Barberini e Giannini alla pena di anni 6 di reclusione e lire 4mila di multa (di cui 5 anni e lire 4mila condonati condizionalmente) per reati non riguardanti il collaborazionismo.
Furono assolti: Sbrilli, Cinquemani, De Santis Antonio e Nardi Sesto per non aver commesso i reati loro ascritti; Gorelli, Forcelloni, Santucci, Marrini, Nannetti, Cipolli, Mori, Testini, Ceccantini e Nardi Nardello per insufficienza di prove riguardo agli omicidi loro contestati; Faenzi per non aver partecipato al fatto. Nei riguardi di Pucci, Ciacci, Giannini e Lorenzini non si procedette per estinzione del reato di collaborazionismo. Nessuna delle condanne a morte fu mai eseguita, mentre tutte le altre pene furono derubricate, condonate o amnistiate nei procedimenti successivi. |
Alcune delle pagine della sentenza emessa dalla Sezione speciale della Corte d'Assise di Grosseto
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Michele De Anna, comandante della squadra d’azione “Ettore Muti”, condannato a morte in contumacia, si rese latitante e non fu mai arrestato. La condanna alla pena capitale fu commutata in quella dell’ergastolo dalla Corte Suprema di Cassazione (23 marzo 1948). La Corte d’Assise d’Appello di Perugia, con sentenza del 22 giugno 1955, confermò per De Anna la pena dell’ergastolo, ma il 29 agosto 1959 la Corte Suprema di Cassazione annullò senza rinvio tale sentenza, considerando il reato estinto per amnistia (art. 1 DP n. 460 dell’11 luglio 1959). Finì così la lunga latitanza del capo della spedizione di Monte Bottigli, che non scontò neppure un giorno di carcere. Negli anni Sessanta, residente a Roma, continuava a svolgere indisturbato la professione di medico.
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Sig. Questore, il condannato a morte Michele De Anna è tuttora latitante a Roma […]. Sarebbe l’ora di prenderlo. ASGR, Fondo Questura, b. 423 CPC, f. De Anna Michele, lettera anonima del 24.03.1960. Il questore aggiunse a penna, il 26 marzo 1960: «È stato amnistiato» |