La Maremma dopo l'8 settembre,
tra occupazione tedesca e fascismo repubblicano
Particolare del manifesto di propaganda della RSI "Banditi e ribelli ecco la vostra fine"
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Particolare del manifesto di propaganda della RSI "Banditi e ribelli ecco la vostra fine"
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«Il governo italiano, riconosciuta la impossibilità di continuare la impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell'intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate anglo-americane. La richiesta è stata accolta. Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza»
Queste le parole pronunciate l’8 settembre del 1943 dal capo del Governo Badoglio per annunciare la resa incondizionata alle forze anglo-americane firmata a Cassibile 5 giorni prima.
All'annuncio dell'armistizio segue la precipitosa fuga notturna verso Brindisi dei Savoia, del Governo e dello Stato Maggiore. Roma è abbandonata, nessuno ne ha organizzato la difesa. Nel vuoto istituzionale i tedeschi hanno buon gioco nel portare avanti il piano d’occupazione dell’Italia, già programmato alla fine di luglio e pronto a scattare nel caso di un cambio d’alleanze. Ai comandi di Rommel al nord e di Kesselring al sud, 15 divisioni sono introdotte in Italia nei punti strategici. |
Le parole usate da Badoglio non fecero immediatamente comprendere il reale senso delle clausole dell’armistizio; da molti, soprattutto dai soldati, furono erroneamente interpretate come fine della guerra, uscita da un incubo che durava ormai da tre anni. Al di là dei primi casi di Resistenza militare e di rivolte popolari di carattere spontaneo (Porta San Paolo a Roma, le “Quattro giornate” di Napoli, la battaglia di Piombino, la Divisione Acqui a Cefalonia…), in soli tre giorni le forze armate italiane sul territorio nazionale e nei fronti esteri (Francia, Balcani, Grecia, isole dell’Egeo), lasciate senza precisi ordini, si sciolsero. Molti dei soldati “sbandati”, generosamente assistiti dalla popolazione civile, riuscirono a sottrarsi agli arresti e all'invio al lavoro coatto o ai campi di prigionia. Un'opera di "salvataggio" solo parzialmente spiegabile attraverso la categoria interpretativa del maternage di massa (Anna Bravo, 1991): donne che si fecero “pubblicamente” madri dei giovani uomini in pericolo, rivestirono di abiti civili i soldati allo sbando, dettero loro accoglienza, li nascosero e ne facilitarono la fuga; un primo atto di Resistenza civile che coinvolse non soltanto donne e che vide poi per molte persone il passaggio «dalla compassione alla solidarietà e dalla solidarietà all'impegno politico in prima persona» (A. Rossi Doria, 1994).
I soldati che nel settembre scorso traversavano l’Italia affamati e seminudi volevano soprattutto tornare a casa, non sentire più parlare di guerra e di fatiche. Erano un popolo vinto, ma portavano dentro di sé il germe di un’oscura ripresa: il senso delle offese inflitte e subite, il disgusto per l’ingiustizia in cui erano vissuti. (G. Pintor, 1965) |
Dismesse le divise, alla ricerca disperata di abiti civili, quei ragazzi dilagarono ovunque, a piedi, nel tentativo di evitare di incappare nei reparti tedeschi (i tedeschi, i ragazzi che riuscivano a fermare, li facevano prigionieri e li mandavano in Germania, chiusi in carri bestiame). [...] Io, poco dopo l'arrivo dei tedeschi, raggiunsi la stazione quando seppi che un gran numero di donne si era precipitato lassù, circondando un treno di carri bestiame, carico di ragazzi che i tedeschi avevano rastrellato ed ora stavano trasportando in Germania: assistetti alla manifestazione di quelle donne che, con grande coraggio, urlando, riuscirono a intimidire i soldati di guardia, mentre altre, non si sa come, riuscirono a far scorrere gli sportelloni dei carri bestiame, dai quali i ragazzi si precipitarono fuori a frotte, correndo e fuggendo nei campi, al di là dei binari, mentre i tedeschi, intimoriti, non ebbero coraggio di reagire e di sparare. Le nostre donne, vicentine, liberarono così "i nostri tosi", che erano di tutte le parti d'Italia, prevalentemente meridionali. Quel giorno abbiamo ritrovato la patria. (M. Mirri, 2018) "8 settembre 1943: L'ora delle scelte" a cura di Nicola Barbato (ISREC-Lucca). Progetto "Pillole di Resistenza", curato dalla Rete toscana degli Istituti della Resistenza e dell'età contemporanea e promosso dalla Regione Toscana.
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Il 12 settembre, lo stesso giorno della resa di Grosseto ai tedeschi, paracadutisti tedeschi liberarono Mussolini dalla prigione del Gran Sasso e dopo soli tre giorni fu proclamata via radio la nascita della Repubblica sociale italiana (RSI). L’Italia si spaccava drammaticamente in due: al Regno del Sud controllato dagli Alleati, si contrapponeva il neonato fascismo repubblicano nel centro-nord del paese occupato dai tedeschi, col fronte fissato sulla Linea Gustav (Cassino-Ortona).
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La liberazione di Mussolini a Campo Imperatore, Istituto Luce Cinecittà
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Alla proclamazione della nascita del fascismo repubblicano, i tedeschi a Grosseto occuparono la Prefettura e sostituirono il prefetto Palmardita con il comandante militare speciale, Jannetta. Il 18 settembre è la data di inaugurazione della Federazione grossetana del nuovo Partito fascista repubblicano (PFR); commissario straordinario fu nominato il quarantaquattrenne originario di Bomarzo Alceo Ercolani, che aveva alle spalle una lunga carriera politica e militare; già segretario federale del Partito nazionale fascista a Treviso e a Cosenza, dal 1939 al 1943 era stato consigliere nazionale alla Camera dei fasci e delle corporazioni, che dal 1939 aveva sostituito la Camera dei deputati.
L'incarico come commissario del neonato PFR durò poco più di un mese; il 22 ottobre 1943 fu infatti nominato capo della Provincia di Grosseto. Dopo la nomina di Ercolani a capo della Provincia, diventarono triumviri della Federazione fascista Generoso Pucci, Bernardo Cambi e Silio Monti. Comandante provinciale della GNR fu nominato Ennio Barberini; Angelo Maestrini, già segretario federale di Grosseto e dal 1938 al 24 luglio 1943 Podestà di Grosseto, fu richiamato nella MVSN col grado di Tenente col. assunse il comando del battaglione Camicie Nere di Grosseto. Concorrono a comporre il quadro delle cariche civili e militari: Michele De Anna, a capo della squadra di azione "Ettore Muti"; Inigo Pucini, commissario prefettizio; Liberale Scotti, vice questore dal marzo 1944. |
1: Il capo della Provincia Alceo Ercolani
2-4: Triumviri del PFR: Generoso Pucci, Bernardo Cambi, Silio Monti 5: Ennio Barberini, comandante provinciale della GNR 6: Angelo Maestrini, comandante del Btg. territoriale ausiliario (Credits 1-6: V. Guidoni, Cronache grossetane) |
Il Comandante delle armate tedesche in Italia, il federmaresciallo Albert Konrad Kesselring, dichiarò immediatamente le zone sotto il suo controllo territorio di guerra e come tali sottoposte alle leggi di guerra tedesche.
Anche a Grosseto gli occupanti tedeschi imposero fin da subito, autonomamente o in collaborazione con Alceo Ercolani, misure volte ad assicurare il controllo del territorio. La Maremma divenne bottino di guerra: derrate alimentari, bestiame e prodotti minerari per i bisogni dell’esercito del Reich, tutto dirottato verso la Germania. Ma il territorio era anche considerato riserva di manodopera: già il 21 settembre fu affissa a Grosseto la prima ordinanza germanica della chiamata per il servizio al lavoro. Per tutto il primo semestre del 1944 la deportazione di manodopera anche a Grosseto fu affidata alle autorità locali della RSI, che svolsero una forte propaganda per il reclutamento dei volontari. Ercolani in prima persona si spese per la causa tedesca, rivolgendosi ai rappresentanti delle forze produttive locali per sollecitare l’invio di muratori, montatori, meccanici, terrazzieri, calzolai, camerieri, cantonieri stradali... Nel gennaio 1944 Ercolani si rallegrò per i tassi di disoccupazione praticamente nulli poiché i disoccupati erano stati assorbiti quasi tutti dall'organizzazione Todt. |
1-4: Manifesti di propaganda per l'arruolamento volontario nelle organizzazioni tedesche di sfruttamento della manodopera. Collezione "Repubblica sociale italiana" dell’Istituto storico della Resistenza di Modena,
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Il lavoro obbligatorio, l’occupazione di beni immobili, la requisizione dei generi alimentari con la politica degli ammassi e i primi episodi violenti accentuarono l’odio delle popolazioni locali verso l’occupante straniero e verso le autorità fasciste locali, nonché la stizza verso il comando germanico da parte degli stessi fascisti, che avevano come priorità quella della creazione del consenso e del radicamento sul territorio. D'altra parte il capo della Provincia, già per tempra personale, mal si adattava ad un ruolo totalmente subalterno rispetto ai comandi tedeschi e non perdeva occasione per ribadire il suo ruolo al comando del territorio.
La necessità di legittimare la propria autorità agendo in autonomia rispetto ai tedeschi ma - altro lato della medaglia - cercandone comunque il plauso, appare del tutto evidente, ad esempio, nel novembre 1943, quando Ercolani, addirittura in anticipo rispetto alle direttive del fascismo repubblicano, istituì il campo di internamento per ebrei nel seminario vescovile di Roccatederighi. |
La manovra per l’incatenamento e il dissanguamento del proletariato italiano da parte degli imperialismi tedeschi e nostrani è in pieno svolgimento. Strumenti sono l’Organizzazione Todt, la banda Sauckel e infine gli industriali che – o passando direttamente al servizio dei tedeschi o licenziando i loro operai – mettono, in definitiva, i lavoratori italiani alla mercé dei loro nemici […]. Uniti bisogna lottare: resistere alla fame e agli inviti melliflui, organizzare la contropropaganda, prepararsi ad agitarsi in massa. I negrieri, quando delusi vedranno sfuggirsi la carne dei lavoratori, passeranno dall'invito alla razzia: frugheranno tutte le case, trascineranno con la forza, organizzeranno le deportazioni coatte. Prepariamoci a rispondere con le armi alle armi. Sfuggire ai lupi e assassinarli, cacciarli dall'Italia. L’Unità, 7 novembre 1943 |
Paradossalmente le chiamate alle armi e le attività violente e coercitive dei fascisti sui giovani per costringerli alla coscrizione aumentavano l’afflusso dei volontari nelle bande partigiane, che con la loro stessa presenza e attività testimoniavano il fallimento dell’autorità del neonato Stato fascista e la sua incapacità di farsi obbedire. I primi gruppi di "ribelli", formati dai soldati sbandati e dagli antifascisti di lunga data, cercarono al contempo di guadagnare i renitenti alla loro causa, svolgendo attiva propaganda e azioni dirette, quali il boicottaggio della consegna delle cartoline-precetto, la distruzione degli elenchi dei giovani di leva e l’intervento armato per impedire la loro cattura. I primi mesi di lotta furono particolarmente duri per i gruppi che via via si stavano costituendo in montagna o nelle macchie, ancora scarsamente organizzati dal punto di vista militare e privi di una precisa identità politica. Costruiti intorno alle figure prestigiose dei comandanti, talvolta ex-militari, svolsero principalmente azioni di propaganda, recupero armi e viveri, oltre ai primi sabotaggi alle linee di comunicazione. Le azioni militari vere e proprie son ancora ben lungi da venire ma il capo della Provincia Ercolani, anche per scoraggiare la solidarietà della popolazione sia verso partigiani, disertori ed ex-prigionieri alleati, dispose fin dai primi mesi misure straordinarie: il coprifuoco e la soppressione dei permessi di caccia in molti Comuni della provincia e l'arresto immediato per chi fosse coinvolto in disordini. Per prevenire attentati alle vie di comunicazione, furono potenziati i servizi di vigilanza.
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Le chiamate alle armi per l’esercito fascista significarono indirettamente, per quanto ciò possa apparire paradossale, un arruolamento nel movimento partigiano. Quanto più pesante divenne la costrizione statale sui giovani, tanto maggiore divenne il numero dei volontari affluiti tra i partigiani. (L. Klinkhammer, 1996) Subito decidemmo di iniziare operazioni offensive e di sabotaggio contro i fascisti e i tedeschi, nonché di intensificare la propaganda perché le giovani reclute (classi 1922-23-24-25) non si presentassero alle armi e venissero invece ad ingrossare le nostre file. I risultati furono lusinghieri (dal paese di Manciano non si presentò neppure un militare e scarsa fu la presentazione alle armi nei contigui territori di Pitigliano-Sorano-Magliano ecc.). La nostra zona di operazioni venne ben presto definita dalle autorità fasciste e tedesche (ignoriamo se per disprezzo o per paura) come la Piccola Croazia. (Relazione del Raggruppamento Patrioti “Amiata” sett. B, 1944) |
Nel tentativo di forzare la mano e indurre i giovani ad arruolarsi, il decreto di Mussolini del 18 febbraio 1944 dispose la pena di morte per renitenti e disertori, dando come termine massimo improrogabile per la presentazione le ore 24 del giorno 8 marzo. A tutti i capi delle Province e dei Comandi militari fu fatto obbligo di diffondere il decreto con manifesti murali anche nei piccoli centri.
Nonostante le minacce, alla scadenza i risultati del reclutamento a Grosseto sono fallimentari: su un totale di 2.697 giovani ch e furono chiamati alle armi se ne presentarono solamente 546. |
l primo significato di libertà che assume la scelta resistenziale è implicito nel suo essere un atto di disobbedienza. Non si trattava tanto di disobbedienza a un governo legale, perché proprio chi detenesse la legalità era in discussione, quanto di disobbedienza a chi aveva la forza di farsi ubbidire. Era cioè una rivolta contro il potere dell’uomo sull'uomo, una riaffermazione dell’antico principio che il potere non deve averla vinta sulla virtù.
C. Pavone, Una guerra civile: saggio storico sulla moralità nella Resistenza |